Ho notato spesso che molte persone, all’interno di relazioni sentimentali, tendono a concentrare l’attenzione sull’altro, invece che su di sé e sul proprio sentire.
Esse parlano solo dell’altro; si interrogano costantemente sulle motivazioni per le quali l’altro faccia o dica certe cose oppure perché non le faccia o non le dica.
Spendono molto tempo ad osservare i suoi comportamenti allo scopo di individuare quei segni che, a loro avviso, potrebbero rappresentare una diminuzione dell’amore.
Si interrogano continuamente su cosa provi l’altro e cosa ne pensi.
Cercano di comprendere come ragiona.
Si pongono domande alle quali non possono rispondere, tentando di avere il controllo su ciò che accade o potrebbe accadere nella relazione, per timore di perdere quell’amore o per insicurezza di non “averlo”. Si sforzano di far andar bene le cose cercando di soddisfare le richieste dell’altro. Cercano di non deluderlo mai, di seguire la sua visione di coppia, come se l’esito della relazione dipendesse solo da loro.
Tale comportamento nascerebbe dall’unione di questi aspetti:
- la convinzione che per essere amati si debba essere come l’altro ci vuole;
- la necessità di avere il controllo su ciò che accade, da cui si fa dipendere il proprio senso di sopravvivenza emotiva e spesso anche materiale;
- la pretesa inconsapevole che l’altro si comporti secondo le proprie aspettative o regole e i tentativi di “aggiustarlo” o cambiarlo per farlo diventare la persona che si vorrebbe che fosse.
Queste convinzioni portano a tre situazione dannose:
- Allontanamento da sé, allontanandosi dai propri bisogni e dalla comprensione di sé e dei propri desideri da seguire. Questa situazione nel tempo accresce il senso di vuoto interiore e di inadeguatezza;
- Illusione di onnipotenza alla base della convinzione di essere in grado da sole di far funzionare la relazione, porta ad un sovraccarico di responsabilità, ed espone alla delusione e al dolore che l’altro non agisca come pensiamo. Ci si sente così sempre meno capaci ed esposti agli eventi esterni;
- Procrastinare la chiusura di una relazione che non funziona, nella convinzione illusoria che prima o poi l’altro finalmente diventerà come lo si vuole.
Allora cosa fare?
Sarebbe necessario rendersi conto e quindi cambiare alcuni schemi radicati, abituali e automatici nella loro manifestazione. Ciò è possibile tramite un percorso psicoterapico che conduca la persona ad una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie paure, vulnerabilità, potenzialità, capacità e bisogni.
Tuttavia si può iniziare a:
- Ricondurre subito il centro dell’attenzione su di sé (come mi sento io? Cosa desidero io? Questa cosa mi sta bene oppure no?)
- Ogni volta che ci si ritrova a compiere sforzi per “far andare bene le cose” con l’altro, ripensare che in una relazione si è sempre in due e che anche l’altra persona ha la sua parte di responsabilità e di azione. Quindi, se le cose non vanno e l’altro non si attiva, forse si dovrebbe pensare che non è così motivato a restare nel rapporto, e che una relazione sana abbisogna di un buon equilibrio per entrambi;
- Ogni volta che si rimanda la chiusura di una relazione perché si spera in un cambiamento improbabile, concentrarsi sul fatto che le persone sono come le vediamo nel presente e si dovrebbe valutare l’importanza di concentrarsi sulla costruzione della nostra serenità e autonomia, piuttosto che usare il nostro tempo per rincorrere una persona che non riesce a darci quell’amore di cui abbiamo bisogno e che vorremmo ricambiare.
Nota Bene
Se invece l’altro decidesse di mettersi in gioco e voler cambiare per ascoltare le nostre emozioni e bisogni, come noi i suoi, si potrebbe intraprendere un lavoro terapico di coppia per risolvere le reciproche difficoltà relazionali e trovare così serenità ed equilibrio insieme.